Era una sera del 1799, una di quelle in cui solo il miracolo di un santo poteva salvare i paesi abruzzesi arroccati lungo la vallata del fiume Foro.
Quella sera era il turno di Fara Filiorum Petri.
La comunità era pronta a combattere ma il rumore degli zoccoli che ritmavano l’avanzata francese incuteva sempre più paura man mano che la si sentiva più vicina.
In contrada Colle Selva un anziano signore apparve seduto giusto dinanzi alle truppe francesi, i cavalli non vollero sentir ragione di proseguir la marcia e si inginocchiarono.
Il Generale francese ordinò: “Dietro la cavalleria e avanti la fanteria” e in quel momento l’anziano prese le sembianze di Sant’ Antonio trasformando le grandi querce del bosco della Selva in colonne di fuoco a difesa della Fara.
“Dove c’è il Santo non si entra” disse il Generale ordinando la ritirata.
Questa forse non è la vera storia e nemmeno quella tramandata dai documenti e dai reperti custoditi in Biblioteca e al Comune.
E’ la versione della signora Maria, raccontata molto orgogliosamente durante la “Festa delle Farchie” celebrata come ogni sera ormai da qualche secolo proprio a Fara Filiorum Petri per ricordare quel miracolo che salvò il suo amato paese.
Il Sign. Gabriele, da poco dentro a 90 anni, aggiunge che ai tempi di suo nonno in realtà le Farchie erano più piccole e che questa tradizione è forse nata da un simpatico episodio di campanilismo: anni e anni fa la bellissima statua di Sant’ Antonio era solita essere “prestata” dai faresi agli abitanti della vicina Serramonacesca per essere esposta in paese, un anno però la statua non tornò indietro venendo di fatto sequestrata
Una di quelle sere in cui solo un paese poteva salvare il suo santo, gli abitanti di Fara si incamminarono in centinaia verso Serramonacesca facendosi luce nell’oscurità dei boschi con delle torce ricavate dalle canne palustri con cui si impagliavano le sedie e si bruciavano le setole di maiale: le farchjie. Naturalmente Sant’Antonio Abate fu riportato in paese.
La Festa delle Farchie di Fara Filiorum Petri è una di quelle feste “per” il paese e forse anche per il Santo. Di quelle dove si riesce a vedere l’ Abruzzo più semplice, genuino e appassionato. Non necessariamente il più bello.
C’è il Fuoco che riunisce e c’è il Vino che unisce. Entrambi scaldano. A Sant’Antonio Abate invece l’onore e l’onere del Miracolo.
Chi vive in maniera completa, viscerale, non ha bisogno di travestirsi o di rivestirsi per la festa. Ad animarla sono centinaia di persone riconoscibili perché in abiti molto comodi: sanno che la cenere brucia, il vino sporca ed è pur sempre una fredda e umida giornata invernale.
Verso le cinque del 16 Gennaio di ogni anno e ormai da anni, il punto più alto e sentito della festa. Le Farchie sono tutte orgogliosamente in piedi davanti allo spiazzo antistante la Chiesa del Santo: sono 13 come i miracoli dell’ Abate oppure 17 come le contrade della Fara. Due di loro sono nane perché realizzate dalle scuole elementari nella speranza di tenere vivo il fuoco della tradizione anche nei più piccoli.
Una voce femminile, e un poco incerta, chiama il nome di ognuna delle contrade ed è un tripudio di luci, di grida e scoppi fino alla completa accensione. Quella del Colle Selva quest’anno non parte, ma ci spiegano che non è un dramma: ”succede”. Anche se a spiegarlo sono tre contradaioli proprio della Selva.
Una volta tutte ardenti è il tempo dei balli, del vino e dei canti. Soprattutto dei canti che sono quelli popolari abruzzesi suonati con i “dubbotti” e intonati attorno alla propria Farchia rigorosamente tutti abbracciati. Giovani e meno. Chi si stringe in quell’abbraccio non canta per piacere ma più semplicemente perché conosce con orgoglio ognuno di quei versi. Non è esibizionismo, è appartenenza.
Ecco, questo viene in mente a conclusione del nostro pezzo: la Festa della Farchie non è, e forse non vuole nemmeno essere, un evento per turisti con quelle due bancherelle e nessun tavolino per mangiare. E’ luogo e tempo di “appartenenza”: alla propria terra, al proprio santo e alla propria gente. Per questo, spettatori di tanta intimità, ci si sente tutti piacevolmente ospiti. Quasi testimoni.